martedì 4 aprile 2006

Etichette

In questi giorni ho una sindrome da insofferenza alle etichette. È cominciata nel fine settimana di fronte ad alcune cose, che periodicamente si ripropongono. Qualche esempio:

Papaboys: consapevoli che esiste un’associazione che si è data questo nome, non tutti i ragazzi che sentono un legame con Giovanni Paolo II ne fanno parte o si definiscono tali. Liberi di aderire, ma non è un marchio di qualità.

Dirsi cristiani: allibita di fronte all’affermazione di Casini a proposito degli assassini di Tommaso Onofri: «Se non fossimo cristiani, saremmo favorevoli alla pena di morte». Limitato più che mai.

Gay: ho una decisa antipatia per chi fa un uso strumentale di questo termine e di quello che comporta. Pseudopaladini della libertà e della tolleranza. A proposito, mi viene in mente quello che il custode della sinagoga di Trieste ha detto a una mia amica: «Tollerare una persona è una delle cose peggiori che si possono fare. Ai nostri bambini insegniamo a non usare questo verbo e questo atteggiamento nei confronti delle persone».

1 commento:

Andrea (sdl) ha detto...

Come ho sottolineato altrove si dovrebbe imparare a "caratterizzare" e non a "distinguere"
Nel primo caso si aggiunge valore, nel secondo caso si separa valore.

E penso si applichi bene a tutti questi luoghi comuni.

Andrea (sdl)