domenica 8 luglio 2007

Giornalista o impiegata?

La pesante domanda ci è stata posta il primo giorno a Urbino. Da quel momento ha preso forma ed è diventata anche mia.
Non ho trovato ancora tutte le risposte e non le ho messe nell'ordine corretto, ma alcune considerazioni mi sono chiare.
La prima: quando la domanda ci è stata posta - o meglio l'alternativa provocatoria - il termine "impiegato" aveva chiaramente una connotazione dispregiativa. Questo perché un giornalista deve essere caratterizzato dall'autonomia e da un forte spirito di iniziativa. Il nodo da sciogliere, al momento, riguarda soprattutto la seconda qualità. Mi viene dato un compito: ok, lo porto a termine, generalmente impegnandomi il più possibile. Mi interessa che all'interno di questo compito ci sia uno spazio di creatività e anche di autonomia, appunto, ma soprattutto di creatività. Ma lo spirito di iniziativa... be', su questo non mi sento del tutto al mio posto. Dipende dalla conoscenza vaga del territorio? Della materia? Dall'essere sottoposta a una serie numerosissima di input che vanno elaborati e fatti propri perché possano esserti utili e quindi richiedono un tempo minimo di elaborazione? Dal fatto che mi manchi l'allenamento all'avere "almeno un'idea al giorno"? Oppure dal fatto che nel lavoro dell'impiegato c'è l'attribuzione di un compito, ma anche lo spazio per la tua fantasia e il tuo modello organizzativo?

Seconda considerazione: in linea di massima, dicono - capi, colleghi, insegnanti, parenti, amici e conoscenti - che io faccia dei buoni lavori. C'è da raffinare, migliorare, limare, ovviamente, ma pare che il terreno possa essere fertile. Io dico: scrivere mi piace, ho persino messo su un blog per dilettarmi. Come mi piace leggere e informarmi. Curiosa, curiosa su tutto. Scopro interessanti persino cose che non avrei mai pensato tali prima. Ma, ecco, non sono così sicura che mi interessi raccontarlo agli altri o, meglio ancora, che il mio modo di raccontarlo possa cambiare qualcosa per gli altri. Il motivo per cui ne dubito sono le modalità di lavoro, che dipendono in parte da me, in parte dal sistema.

Terza considerazione. Su questo preferisco sorvolare, limitandomi a una semplice citazione, perché le implicazioni sono troppo grosse e ancora non le ho sviscerate a dovere, ma la domanda è: vale la pena di fare la vita che si fa per fare il giornalista? E intendo vita a 360°.

E qui mi fermo per il momento. Sia chiaro, non credo che mollerò tutto da un giorno all'altro, anche se qualche volta mi piacerebbe farlo e andare contro il mio solito stile per cui se inizio una cosa la porto a termine e poi faccio le mie valutazioni, ma le domande ci sono tutte e io cerco risposte esaurienti.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Io dopo tre anni lascio Milano e me ne torno in Veneto...lì vivo, a Milano no; a mio parere è città invivibile!

Anonimo ha detto...

"non sono così sicura che mi interessi raccontarlo agli altri o, meglio ancora, che il mio modo di raccontarlo possa cambiare qualcosa per gli altri. Il motivo per cui ne dubito sono le modalità di lavoro, che dipendono in parte da me, in parte dal sistema."

bene kla, siam allo stesso punto :D Solo che io al momento ho deciso di lasciar perdere, te ci sei dentro alla grande. cavalca l'onda, ragazza. poi, puo andare dove vuoi.
un abbraccio

kla ha detto...

Cara True,
non posso fare altro che dirti: un intervento, un centro pieno.
Come ho scritto, non credo che mollerò tutto di punto in bianco perché sarebbe contro la mia natura e perché è stando qui e "cavalcando l'onda" che posso vedere se i miei dubbi sono ragionevoli o no. E d'altra parte, sarebbe anche uno "schiaffo alla miseria" mollare dopo tutto quel che è costato entrare, quel che ho fatto finora e che sto continuando a fare... La stanchezza ogni tanto gioca brutti scherzi, ma non voglio neanche censurarmi del tutto e procedere con i paraocchi.
Staremo a vedere...
Grazie, un abbraccio!