giovedì 2 marzo 2006

Scusate se non monologo

Sabato sera sono stata ad ascoltare una lettura per beneficenza de I monologhi della vagina di Eve Ensler: i 3 € di ingresso andranno a sostenere campagne contro le violenze sulle donne.
L’ascolto è stato piacevole, brave le tre lettrici, anche considerando che erano un po’ emozionate e comunque non professioniste. Ma c’è un “ma”…
Alcune parti della lettura non mi sono piaciute perché, secondo me, esprimono l’idea che per essere donna, per sentirti tale, devi parlarne, quasi ad ogni costo. E a me sembra che questo genere di atteggiamento sconfini nella provocazione, nell’ostentazione. Questo non mi piace.
La sessualità è un ambito privato. È giusto parlarne. È necessario parlarne, ma la libertà si esprime appunto nello scegliere le persone con cui parlarne, con cui condividere questo aspetto, nello scegliere i tempi e i modi per farlo.
Non mi sento più libera se pronuncio ad alta voce una parola. Trovo estremamente riduttivo affermare: io sono la mia vagina. Perché, allora, non potrei identificarmi con il mio fegato, ad esempio? O con il mio cuore, piuttosto?
È che ho l’impressione che questo genere di atteggiamenti esprimano un’idea del corpo come composto di elementi separati: è una concezione tipicamente nostra, occidentale, quella di sezionare…
Con questo non voglio contestare le ragioni delle persone che hanno ideato questa serata, anche perché tutto sommato credo che il punto dove vogliamo andare a parare sia il medesimo: il rispetto per le donne, più ampiamente il rispetto reciproco tra le persone, riguardo ad una sfera importante della loro vita.
Però credo che il rispetto riguardi globalmente un soggetto e che il rispetto per se stessi si guadagna con il raggiungimento di un certo equilibrio interiore e, tuttavia, questo è un fenomeno soggettivo che ha tempi, luoghi e modi diversi per ciascuno. Non si può globalizzare il proprio rapporto con la sessualità. Non si può apprenderlo ad un seminario di gruppo. Io, personalmente, ne rivendico la sua privatezza.
E d’altra parte sono d’accordo con l’idea che probabilmente esiste ancora un tabù troppo grande su questo argomento che minaccia dall’interno i rapporti fra le persone. Ma si combatte la censura con l’ostentazione? E poi cosa conta di più: le parole o i fatti?

1 commento:

Andrea (sdl) ha detto...

Ti faccio una divagazione che mi ha ricordato il tuo discorso sul sezionare.

Generalmente si ha l'abitudine a "distinguere" una persona per quello che fa, e non a "caratterizzarla". Si tende cioè a separarla da un gruppo invece di sottolinearla.
Succede spesso, ovunque. Noi stessi inconsciamente, con banali generalizzazioni, siamo preda di questo tremendo fatto.

Ed è un pò come sezionare
taglia qui, taglia là...

Andrea (sdl)