domenica 18 marzo 2007

Il non-pensiero

Ieri ho trascorso quasi mezz'ora al telefono con una mia amica. Che è anche una persona saggia, oltre ad essere mia amica. E parlando con lei è tornata a galla la teoria del non-pensiero, quella che mi ha salvato la cocozza quando ho attraversato quello che considero davvero un brutto momento e che credo sia servita a farmi crescere un po'.
La teoria del non-pensiero è quella per cui quando hai un problema, una situazione che non capisci, una condizione che ti angustia, ma non sai o non puoi risolverla concretamente, allora l'unica cosa che non devi fare è rimuginarci sopra all'infinito, fino al loop.
Le cose sono. O forse non sono. Ma non puoi essere tu a stabilirlo con giudizio salomonico. Non puoi essere tu a stabilirlo nella tua testa, nel buio della tua stanza, nel rumore dei tuoi passi.
Vivile queste dannate cose. Senza lasciare che siano gli altri a scrivere le condizioni, se trovi che siano ingiuste o che ti portino su una strada che non vuoi percorrere. Vivile, accettando che potranno portare sconfitta o vittoria, ma anche consapevole che in ogni vittoria c'è un po' di sconfitta e in ogni sconfitta un po' di vittoria.
L'unica vera sconfitta, credo, è passare il segno, andare oltre le righe, perdere un'etica perché si vuole e basta. Ecco, questo è un male che ho vissuto - anche se fortunatamente in piccola parte - e che, più di tutto, ora non voglio ripetere.
La teoria del non-pensiero richiede una grande forza di volontà perché quando le idee sembrano volerti scappare tutte in un'unica direzione, per lo più autodistruttiva, non è facile tenere le briglie e portarle al passo. Ma è un esercizio che sviluppa l'autostima, fa venire a galla quante altre possibilità esistono e fa comprendere come, oltre l'ostacolo, tutto continua.

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