venerdì 6 aprile 2007

Mi isola, ma non mi protegge

Come sempre, quando torno a casa mi viene un attacco di logorrea e comincio a scrivere.
Forse è che voglio tirare le somme, mentre tiro anche il fiato.
Forse è che finalmente sono un po' lontana e riesco - si fa per dire - a pensare meglio.
Forse è che quello che mi tarleggia (dal verbo tarlare, se mai dovesse esistere) è che le cose possono essere come dico io, anche senza andare sulla luna.

Intendo: il caso mi ha fatto fare una chiacchierata con una persona interessante e quest'incontro mi ha dato, ancora una volta di più, consapevolezza del fatto che l'unico modo per avere certezze, per sfatare dei miti, per sapere (davvero) com'è che stanno le cose, è confrontarsi.
Passare attraverso quelle terrificanti forche caudine, che spesso mi guardano come bocche dell'inferno minacciose e affamate, dell'incontro.

Parliamo.
Beviamo un caffè.
Ascolto, apro le orecchie.
Non mi aspetto dichiarazioni storiche.
Non sento di doverne fare.
Non mi sento in obbligo di niente.
Nessuno guarda.
Solo perfetti estranei intorno.
Non siamo qui per noi, e questo è il bello.
Aiuta.
Mi aiuta.
Allora riesco anche a chiedere.
E scopro che poi non ho così tanta paura.

Quello su cui sto cercando di riflettere adesso è questo scoglio che si frappone in maniera direttamente proporzionale tra me e le persone. Penso che sia un gene, ma anche una scelta, uno strumento che credo mi protegga dal Grande Esterno, per dirla come Pennac. Il fatto è che ora è diventato una prigione costruita nel Grande Esterno - perché volente o nolente io là ci vivo - che mi isola, ma non mi protegge. Io, questo, ora non posso più accettarlo.

1 commento:

Anonimo ha detto...

e quanto è vero, oltre che giusto, ché a volte è un affanno senza grazia l'amore per la vita, il lento boccheggiare. un revival arterioso. per il resto non abbandiamo mai la nostra dimensione bozzettistica, finendo col diventare prigionieri.

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