Comunque sia, in mano al caso. Ti possono capitare tante opzioni, come in qualunque altro frangente.
Siamo l’ultimo anello della catena alimentare, noi praticanti provenienti dalle scuole. In Italia le scuole di giornalismo sono misconosciute, quando non disprezzate. A occhio, credo che un buon 80% dei giornalisti italiani si sia formato solo sul campo e tenda, quasi sempre, a pensare che questo sia l’unico modo di imparare. Obiettivamente è giusto: sul campo si impara moltissimo. Però avendo fatto l’esperienza dell’Ifg credo una cosa: che quello che una scuola può fare sia mandarti sul campo un pochino più “attrezzato” di fronte a quello che ti aspetta. Non lo sarai mai al 100%, questo è chiaro, però una scuola di giornalismo – a patto che sia seria e sia fatta seriamente – può darti anche un po’ di consapevolezza su quello che sei potenzialmente in grado di fare. E forse anche un po’ di preparazione culturale, che spesso – per quel che ho visto – latita tra i giornalisti italiani.
In altre parole: è una questione culturale. Se negli Usa, in Inghilterra, ci sono le facoltà di giornalismo, ci sono le scuole di giornalismo, da noi la locuzione “scuola di giornalismo” viene tradotta ancora e spesso con “poverino/a, ti hanno fregato/a”.
Che vi devo dire? Certo, più acquisti consapevolezza, più questa situazione è frustrante. Nulla è perduto: ho visto gente cambiare idea e dalla diffidenza iniziale passare addirittura alla stima. Certo, dover ricominciare da capo ogni volta è un “rewind” che ti costringe a metterti sempre ampiamente in discussione. Certo, è meglio non ancorarsi a certezze troppo incrollabili: sarebbe un peccato fare la muffa già a 26 anni.
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