sabato 28 febbraio 2009

La "verità degli altri"

Finché non ci ho sbattutto il naso, non credo di essermi mai davvero chiesta se e quanto la "religione sia l'oppio dei popoli"?
Quando l'ho fatto, mi sono sempre risposta "è una ca..., la religione la puoi vivere con buonsenso, anzi forse è matura solo quando sei in grado di farti venire dei dubbi".
Oggi me lo chiedo dopo aver passato un paio d'ore a discutere in cucina con il mio coinquilino musulmano.
Siamo partiti dal perché Gerusalemme è importante per i musulmani: non lo sapevo esattamente e gliel'ho chiesto. Così mi ha spiegato che Maometto avrebbe avuto una visione di un cavallo che lo conduceva da Dio e poi Dio portava lui e tutti gli altri profeti in preghiera in una moschea a Gerusalemme (suppongo, da quanto ho capito, che il riferimento sia alla Moschea di al-Aqsa. La "traduzione" dell'esperienza mistica di Maometto è pedestre, lo so, me ne scuso, ma è dovuta al fatto che il discorso si è svolto in inglese, quindi con un po' di difficoltà per entrambi).
"Per questo (per la presenza di tutti i profeti, ndr) - ha continuato - Gerusalemme è un luogo che appartiene a tutte le religioni".
Così da lì siamo passati a parlare del conflitto tra israeliani e palestinesi. Avevo già notato appena arrivata (ma anche parlando con un mio collega di corso pakistano) che gli ebrei sono considerati dai musulmani "responsabili", nel senso di "colpevoli". Le prime volte ho colto il senso di quello che mi veniva detto, ma non ho ribattuto, anche se francamente mi sembra(va) "surreale".
La questione lo sappiamo bene è complicata: non ho intenzione di risolverla scrivendo in fretta quattro boiate, ma vorrei solo rendere il concetto che ho colto.
Dunque, "gli ebrei non dovrebbero stare dove sono" e di conseguenza "è colpa loro, loro uccidono i bambini".
Nota a margine: nella mia ignoranza, faccio appello al pensiero razionale e alla logica (tralasciando la politica) e credo che entrambe le parti abbiano torto e abbiamo ragione.
Il problema è che, a turno o anche contemporaneamente, hanno dimostrato di non volersi mettere d'accordo. Insomma, credo sia diventata una irriducibile questione di principio dove le ragioni vere di ognuno vanno a farsi benedire nel sangue dei morti, palestinesi ed ebrei.
Tornando alla nostra conversazione, dal Medio Oriente siamo passati all'Iraq e velocemente all'11 settembre.
Siamo d'accordo sul fatto che gli Stati Uniti siano andati in Iraq per interessi economici.
Ma come si fa a dire che, visto che gli Usa hanno sbagliato, gli iracheni stavano meglio sotto il governo di Saddam Hussein perché "allora non succedeva nulla"? "Come fai a sapere che Saddam uccideva i curdi o gli oppositori politici?". "Lui era nel suo Stato, mentre gli Stati Uniti hanno invaso e stanno facendo del male".
Oppure: "Come fai a sapere che Bin Laden esiste?".
O ancora: "l'11 settembre 2001 è stato organizzato di sabato così gli ebrei non erano a lavoro" (l'11 settembre 2001- ho controllato, ma se qualcuno legge e ha voglia di controllarlo a sua volta e correggermi se sbaglio - era un martedì).
"L'11 settembre è stato organizzato da persone che non si fanno scrupoli a uccidere altre persone per i propri interessi".
"Come hanno fatto 4 attentatori ha dirottare degli aerei armati solo di coltelli?" (come sopra: a me risulta fossero 19 in tutto).
Infine: "In Arabia Saudita il 100% delle persone vive felice, nessuno ruba, la gente va a pregare cinque volte al giorno e non esistono i gay". C'è stato di persona, mi dice. In un accenno fatto prima di iniziare tutto questo discorso mi ha anche detto: "In Arabia Saudita non esistono i poveri". Nessuna risposta in materia di pena di morte.
Ora, è chiaro che qui non c'è contradditorio e quindi il mio coinquilino non può dire la sua (soprattutto per questioni linguistiche), ma raccontando di questa conversazione non sto cercando di farmi dare ragione (sarebbe persino troppo facile, credo).
Lui è nato e cresciuto in Europa, a Parigi, e se non ci si addentra in questo genere di discorsi non è una persona diversa da nessun altro giovane europeo tra i 25 e i 3o anni.
Non mangia carne di maiale, ma se ha voglia si beve una birra (e, please, nessun moralismo).
Lui dice "io vorrei che nel mondo ci fosse giustizia, chi è d'accordo con questa idea per me è benvenuto e non conta che sia musulmano, ebreo o cristiano".
Lui però mi dice anche che "crede che le uniche cose davvero giuste siano le parole che Dio ha lasciato scritte. Quindi tu puoi uccidere qualcuno che ha ucciso e non avere nulla da temere perché questo è autorizzato da Dio, come è scritto nel Corano".
La verità è che io sono shoccata perché mi sono trovata davanti alla "verità degli altri" e mi sono resa conto che cose che noi diamo per certe o che sono per noi aberranti, per altre persone (e non in qualche remoto angolo del deserto) sono, all'opposto, altrettanto aberranti o certe.
La mia educazione, il mio modo di pensare, il mio modo di dubitare sussultano malamente di fronte a questi discorsi. In certi momenti non sapevo se ridere, piangere o mandarlo a quel paese. Non credo nelle crociate, ma mi vengono i brividi al pensiero di tutti questi discorsi.
La cosa che più mi ha fatto reagire era la sicurezza che mostrava nel sostenere con sicurezza che l'11 settembre è un complotto ebreo-americano o che i gay non sono "naturali" (oh, non che dalle nostre parti ce la passiamo così tanto meglio...).
Mi ha anche detto "Noi non abbiamo la parola democrazia e per questo io non ci credo".
Poco tempo fa ho finito di leggere Infedele, la biografia di Ayaan Hirsi Ali, la sceneggiatrice di Submission, un corto sull'Islam girato dal regista olandese Theo Van Gogh nell'agosto 2002. Per via del film, che parla della violenza contro le donne praticata in nome dell'Islam, Van Gogh è stato ucciso ad Amsterdam due mesi dopo, nel novembre 2002.
Il libro mi ha colpito molto proprio perché, attraverso la sua esperienza (che è quella di una che ha provato a crederci, a sottomersi) Ayaan Hirsi Ali arriva a concludere che l'Islam è arretrato e incompatibile con la democrazia.
Il discorso è palesemente pesante e raccontato fuori dal contesto del libro potrebbe far pensare che lei sia una pazza xenofoba: personalmente non ho tratto questa impressione dal libro, poi ognuno è libero di giudicare come crede.
La verità è che credo che quello che pensa il mio coinquilino non sia un'eccezione, magari non riguarderà il 100% dei musulmani, ma non penso sia un'eccezione.
Possiamo liquidarla, come lui ha detto a me a proposito del mio modo di vedere, come un effetto della "disinformazione mediatica di parte?".

2 commenti:

Pennellina ha detto...

Bello il tuo blog, condivido ciò che dici e l'esperienza londinese è interessante ....
Ti metto fra i miei preferiti!
Nikka

kla ha detto...

Be', allora benvenuta!:-)
Ovviamente entri anche tu tra i miei preferiti!
A presto,
Kla